Le mura della città di Tony Frisina e Antonio Silvani

Le mura di Alessandria [Alessandria ieri e oggi]

di Tony Frisina e Antonio Silvani.

Qualche giorno fa Tony ha postato su Facebook una foto di Lucca vista dall’alto, con la sua meravigliosa cinta muraria, abbiamo pertanto colto la palla al balzo (come diceva quel tizio che castrava i canguri…) e, oltre a Lucca (all. n. 1bluccalive.com), abbiamo aggiunto Palmanova del Friuli (all. n. 1awww.turismofvg.it) e Cittadella (all. n. 1aturismo.comune.cittadella.pd.it), comune ad una trentina di chilometri da Padova.

Abbiamo potuto, anche se solo in fotografia, ammirare le mura, i bastioni di queste stupende città, godere di quei colpi d’occhio che da sempre contribuiscono ad attirare turisti da ogni parte.

Abbiamo anche aggiunto un’antica mappa di Alessandria (all. n. 1curbanlogin.cultural.it) per vedere, incazzandoci ovviamente (ma purtroppo non sappiamo contro chi) per immaginare come sarebbe stata Alessandria se avesse mantenuto la sua cinta muraria, anzi, le sue cinte murarie.

http://mag.corriereal.info/wordpress/wp-content/uploads/2015/09/1-mura-Al-e-altre-citt%C3%A0.jpg

Pensiamoci bene (ed incazziamoci ancora di più) la nostra città sarebbe stata l’unica al mondo a vantare due cinte murarie adiacenti e separate solo da Tanaro: quella della città e quella della Cittadella!

A noi è rimasta solo più quella della Cittadella ma, ancora ultimamente, si è visto come sia impossibile anche solo visitare esternamente gli spalti, sia per una vegetazione sempre più intricata che per strane recentissime vestigia umane che sconsigliano qualunque esplorazione.

Il destino della Cittadella e soprattutto la sua incolumità, inoltre, sono legati a quello di quell’inutile, interminabile, distruggisoldi, esteticamente discutibile (almeno per noi) duomo di Milano che è il ponte Meier.

Ma come mai la cinta muraria di Alessandria è scomparsa assieme a tanti altri monumenti del passato e del presente?

Per una ferrea regola che da sempre vige nella nostra città: ciò che hanno costruito le precedenti generazioni, dovrà essere distrutto dalle generazioni successive!

E questo perché? Per interesse personale, per sfizio, per decisioni del  singolo o di pochi, perché il partito lo vuole, perchè lo stato (che la giunta appoggia) così desidera, perché è un’esigenza della città (ma questo è un fatto che accade molto raramente).

Si mettano fin da ora il cuore in  pace coloro che affermano, provando ripetuti e parossistici orgasmi, che tra secoli e secoli il ponte Meier sarà ancora ammirato dalla gente: anche questo ponte soccomberà alla ferrea legge di cui sopra!

Nell’800 c’era chi affermava che le mura di Alessandria andavano abbattute in quanto fortificazioni ormai inutili, vista la continua evoluzione dell’artiglieria pesante; per altri erano un intralcio ai traffici ed ai commerci, visto che c’erano solo cinque o sei punti di ingresso in città. C’era infine chi affermava che le mura impedivano il ricambio dell’aria che, specialmente in certi quartieri, era mefitica e malsana.

Fatto sta ed è che nel 1834 si iniziò la demolizione delle mura, partendo, più che altro per  veloce e gratuito accaparramento di materia prima, dalle parti in mattoni e questa demolizione procedette anche nel ‘900.

L’all. n. 2 è una foto dei primi ‘900, tratta dal libro “Da Pista a rione” di Alessandro Corsico, che mostra una fase della demolizione dei bastioni nella parte sud di Alessandria.

http://mag.corriereal.info/wordpress/wp-content/uploads/2015/09/2-demolizione-bastioni.jpg

Nell’articolo del 1920 “Fornaci municipali“, tratto dal libro di Tony Frisina “Album alessandrino Cartoline e cronache d’epoca” si legge:

“La crisi generale che ha travagliato le industrie che non poterono convertirsi alla produzione di materiale bellico ha in modo speciale colpito l’edilizia. Il cresciuto costo dei laterizi non solo ha impedito ogni nuova importante costruzione ma, specie nel 1915, ha determinato un vero e proprio allarme tra gli imprenditori che non potevano assolvere agli impegni assunti per l’ordinaria manutenzione dei fabbricati.

I proprietari e gli esercenti delle fornaci avevano creato un trust che opprimeva gli acquirenti i quali interessarono il Comune per fare migliorare lo stato delle cose.

L’amministrazione pensò allora che era opportuno il diretto intervento sotto il triplice aspetto di rompere il trust dei produttori, di fornire lavoro alla mano d’opera disoccupata e di valorizzare la terra dei bastioni conseguendo nel tempo stesso la demolizione di essi.”

Furono così costruite negli anni a cavallo della prima guerra mondiale ben due fornaci municipali (vedi all. n. 3), una in spalto Borgoglio ed una in spalto Rovereto. E in breve i bastioni scomparvero da Alessandria, tranne che nella zona di quella che divenne poi via Monteverde, che resistettero fino alla fine degli anni ’60.

http://mag.corriereal.info/wordpress/wp-content/uploads/2015/09/3-fornaci.jpg

Chi, come noi, ha qualche capello grigio, ricorderà proprio quella via ed il punto in cui, percorrendola, sembrava di entrare in un canyon tra i bastioni.

Tra i ricordi di Antonio c’è anche il falò di libri del liceo (specie quelli di matematica e fisica), acceso sui bastioni da lui ed un amico lo stesso giorno in cui furono pubblicati gli esiti (positivi!!!) degli esami di maturità.

4)-gli-ultimi-resti-dei-bastioniCol tempo anche gli ultimi residui dei bastioni scomparvero ed ora quello che resta, siamo più o meno dalle parti di via Boves, lo possiamo vedere nell’all. n. 4.

Ci congratuliamo con Brigante Mandrogno, pseudonimo dell’autore della foto, e gli chiediamo di farsi vivo in quanto in possesso di numerosi documenti, notizie ed aneddoti sulla nostra bella (purtroppo non più come una volta) città.

Concludiamo con una nota comica (vedi all. n. 5).

Che cosa c’entra la famosa e bellissima attrice, cantante e soubrette degli anni ’20 Anna Fougez con i bastioni di Alessandria (per secoli zona di… ripopolamento dei figli di Gagliaudo)?

5)-la-FuséLa Fougez o, all’alessandrina, la Fušé, era il soprannome di una vendeuse d’amùr (per dirla alla Gianni Fozzi) di quell’epoca, del tutto somigliante alla succitata soubrette.

Questa professionista, che lavorava specialmente sui bastioni, è passata alla storia non tanto per lei o per la sua professione,  era poi una prostituta come tante altre, magari un po’ più bella, quanto per una frase lapidaria pronunciata da sua madre.

Ebbene questa vecchiaccia, ricordata come piccola, rugosa, col naso a becco e due occhietti piccoli e cattivi, era solita rispondere, con la sua voce nasale, a chi la informava del comportamento poco adamantino della figlia:

I dìšu che mé fìa la vàga ‘d nóc ans i bastión con j’òmi e ch’la séa ‘na pitàna… bàsta ch’la màcia nénta u só nòm e ch’la téna óut l’unùr dla famìja e pó la pó fè tüt cùl ch’la vó!

[Dicono che mia figlia vada di notte sui bastioni con gli uomini e che sia una puttana… basta che non macchi il suo nome e che tenga alto l’onore della famiglia e poi può fare tutto quello che vuole!]

12 settembre 2015

5 Responses to Le mura di Alessandria [Alessandria ieri e oggi]

  1. rospo Rispondi

    12/09/2015 at 09:37

    sarebbe interessante fare una indagine storica per conoscere che fine ha fatto tutto il materiale, in particolare i mattoni, dell’imponente cerchia muraria di Alessandria. C’è chi ipotizza che la crisi delle fornaci dell’epoca sia da attribuire al fatto che molti furboni costruttori edili di Alessandria abbiano utilizzato i mattoni degli spalti per fabbricarsi il palazzotto, ma non ci sono prove decisive al riguardo.
    Una cosa è invece certa e documentata dalle mappe del comune di Alessandria: moltissimo materiale terroso e derivato da macerie (comprese quelle dei bombardamenti della seconda guerra mondiale e non solo della demolizione degli spalti) sono finite nel letto del fiume Tanaro, che fino alla prima metà dell’Ottocento arrivava a lambire l’attuale via Pavia. Quindi tutta la zona della sponda sinistra del Tanaro attualmente occupata da capannoni industriali e da palazzine era libera ed il fiume aveva un alveo più che doppio rispetto all’attuale, con l’isolotto Galateri nel mezzo.
    La parte sinistra dell’alveo aveva una corrente di portata abbastanza forte da alimentare una serie di mulini a pala per la macinazione delle granaglie.
    Anche dalla parte opposta, verso Lungotanaro Magenta, molto materiale di risulta venne abbandonato nel tempo sulle sponde e nell’alveo, come ad esempio i lastroni di pietra della vecchia piazzetta della Lega, non più utilizzabili – a detta dei tecnici di allora – poichè di un granito di colore chiaro ormai non rintracciabile a causa dell’esaurimento delle cave originarie che si trovavano in Valsesia.
    Ecco quindi spiegata una della cause principali dell’alluvione del 94: la riduzione dell’alveo del fiume di oltre la metà di come era nell’800.
    Altro che ponte Cittadella!

  2. prof Gelindo Rispondi

    12/09/2015 at 12:01

    Grazie Tony e Antonio,siete riusciti a farmi sorridere anche oggi,in giorni di ricordi familiari poco allegri…Come forse ricorderai,caro Antonio,tra il 9 e il 10 settembre del 43 mio nonno Ernesto,ufficiale di Marina,moriva per l’affondamento della nave da parte dei crucchi.Dopo un periodo di dolorose e vane speranze,nonna Maria e mia madre sfollarono da Pola per evitare il peggio da parte dei gentiluomini titini e dopo un’odissea degna di un romanzo giunsero ad Alessandria dove trovarono la casa del mio bisnonno cav.Pasino quasi totalmente distrutta dai bombardamenti;gli alleati puntavano alla Borsalino o avevano scambiato la Rosa Maltoni (poi Galilei) per chissà cosa.Ma la sfiga ci vede benissimo…
    Lui si salvò quasi miracolosamente perchè era sceso nella cantina con volta a botte a pasticciare col vino e le damigiane.morale sfollati dai parenti a Valle,con mia mamma che andava su e giù buttandosi nei fossi con la bici quando mitragliavano basso…Non mi dilungo perchè non sarebbe finita qui…Comunquella pellaccia classe 1865 si spense nel 49,poco dopo il primo nipote Adriano che ben conosci.
    PS Me lo ricordo il rogo dei libri!…Incazziamoci,mai scendere scendere dal cazzo!Anche se a volte mi viene il
    sospetto che Sutancamion III,il faraone morto in un incidente stradale,ci abbia lanciato una maledizione per la scelta del nome della città…

  3. liliana ghisiglieri Rispondi

    12/09/2015 at 16:03

    Non voglio ripetere nuovamente quanto ho detto a commento degli altri articoli e cioè che in Alessandria piano, piano si è distrutto tutto ciò che avrebbe potuto darle un interesse storico-architettonico, rendendola una qualsiasi città di Provincia,omologata a tante altre. Poiché il nostro territorio si trova all’incrocio tra Piemonte, Liguria, Lombardia ed Emilia, la nostra città aveva ben poco delle classiche città piemontesi, ma almeno aveva una cinta muraria e delle porte e se non sbaglio anche un porto sul Tanaro che l’avrebbero connotata diversamente dal piattume che ha ora. Sono d’accordo con Rospo che chiede che fine abbiano fatto tutti i mattoni e il materiale che sono stati ricavati dalla distruzione dei bastioni. Pensando al costo dei mattoni vecchi e al loro pregio, penso che la risposta venga da sola.

  4. Antonio Silvani Rispondi

    12/09/2015 at 16:32

    Anche questa volta devo ringraziare per le puntuali lettere che ci fanno solo piacere… è proprio grazie a questa documentazione che ci giunge periodicamente che siamo sempre più invogliati a farci il mazzo!
    Liliana e Rospo, relativamente a quanto avete detto sui mattoni ed il materiale prelevato da mura, porte e bastioni ci sarebbe da fare ulteriori ricerce oppure raccogliere prove di risposte che vengono spontaneee… purtroppo è passato tanto, troppo tempo!
    Meno male, cara Liliana, che qualcosa eleva Alessandria dal piattume da te descritto… l’odore di urina che da tutta la città aleggia verso il cielo come imperitura testimonianza di incapatità di gestione della cosa pubblica. Ma di questo avremo ancora modo di parlare!
    Caro Claudio, conosco la storia di tuo nonno Ernesto raccontatami tanti anni fa da tua nonna e da tua mamma, sia in quel di Alessandria che in quel di Valtornenza.
    Claudio è superfluo dirti che ti aspetto (con fratello e cognata) martedì 15 alle 21,00 a S. Michele nella parrocchia di Don Ivo ove presenterò la serata in dialetto alessandrino (sempre che non sia impedito dai forti dolori di origine wodoo, dovuti a spilloni piantati in un mio bambolone nascosto in qualche antro… sicuramente di sinistra)

  5. prof Gelindo Rispondi

    12/09/2015 at 19:05

    Antonio carissimo,le pentole rotte durano più di quelle sane(traduco subito dal dialetto per far prima).oggi ho visto del pianto Meyer.L1è ca staga citu…Altro che spilloni,ci vorrebbe una botte di Guttalax da qui al 2017 come minimo e sai a chi mi riferisco.Goliardia?La goliardia l’era pù seria di sti babias(e sono educato).

 

Una risposta a “Le mura della città di Tony Frisina e Antonio Silvani”

  1. Eccomi.
    L’impresa è ardua. Ma le sfide mi ravvivano.
    Attendo le vostre missive,
    E non dimenticate che…
    “Molte furon le mie imprese
    combattei contro il francese,
    sempre i ricchi ho depredato.
    ed i poveri aiutato.
    Ciò che è vero o fantasia
    si è mischiato per la via,
    ma non posso dire adeso
    tutto quello che è successo.”

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