18-04-2021 – DUMA GRIGI…DUMA.

Alessandria è così.
Alessandria, alla fine, è sta roba qui.
Ti svegli dopo l’ennesima stagione che sembra fallimentare già a gennaio, con il solito mal di stomaco, con il solito nervoso, il solito fastidio che sfocia, alla fine, nella rassegnazione e nel disfattismo.
E invece, ai primi di marzo incominci a ingranare, nella speranza di non essere ancora tanto giù in classifica in ottica playoff, nella speranza di rialzarti quel tanto che basta per non soffrire anche negli spareggi.
Due mesi dopo, a 3 giornate dalla fine ti ritrovi lì, a -1 dalla capolista, con le torciate dei tifosi qua e là per la città in occasione delle ultime partite…
È l’unica differenza (non da poco) con gli altri, tanti finali thriller (finiti in catastrofe) della storia di questa gloriosa maglia.
Alessandria è un pentolone di calore. Ti dona tutto quello che ha non appena provi a muovere una foglia, non appena ci credi, non appena sogni e non appena provi a far sognare, e non appena porti in alto questa città che troppo spesso ha il difetto di credersi troppo mediocre rispetto a quello che in realtà è.
Se fossimo in quello spogliatoio, da domani alla fine del campionato, il discorso che ognuno di noi farebbe, sarebbe uno solo.
Perché nessuno che non sia nato tra questi fottuti fiumi o che non abbia assorbito nel suo sangue la mentalità mandrogna può capire cosa possa voler dire associare il colore di quella Maglia a una lettera dell’alfabeto calcistico che non sia maggiore o uguale alla C.
Sarebbe la riscossa, il risveglio di un Popolo e di una Terra da troppi anni abituatisi al buio e al basso, livellatisi verso l’anonimato. Una Terra che non crede in quello che ha e che ha perso molto proprio per la sua mentalità incapace di fare squadra nei momenti in cui ce n’era veramente bisogno, vivendo dei ricordi calcistici che molti di noi non hanno neppure vissuto. Sarebbe il risveglio di una Città, capace in un contesto storico come quello attuale di trovare un motivo per fare nuovamente squadra con se stessa, con quello che ha, con il suo calore, con l’amore incommensurato che il suo popolo sa offrire, come accade nelle piazze del Sud. Perché noi, allo stadio, non ci sentiamo nordici. Qui non siamo piemontesi, qui siamo Grigi, qui siamo alessandrini. Qui abbiamo una storia nostra, che nulla c’entra con le attuali divisioni regionali, forse non longeva come quella di altre città, ma qui la storia in tanti secoli abbiamo imparato a scriverla. E nel calcio non abbiamo fatto eccezione.
Se fossimo in quello spogliatoio, sì, spiegheremmo cosa voglia dire ogni sacrosanta domenica non poter prendere e andare a cantare su quei fottuti gradoni, rivedere gli amici di sempre, al caldo, al freddo, al gelo, sotto la pioggia, in posti sperduti nell’etere, da Borgo a Buggiano fino a San Siro 2016. Spiegheremmo alla squadra che per noi, scrivere una volta, anche una sola, quella lettera sulle nostre maglie, sarebbe il risveglio di un’intera “conca” di cui spesso ci si ricorda soltanto per le alluvioni che ciclicamente caratterizzano questa Mesopotamia del Nord Italia. Spiegheremmo loro che abbiamo troppi angeli in paradiso che sono seduti sempre su quei maledetti gradoni a pregare perché una volta tanto, non esistano più suore, posticipi tv e altre sfighe varie a ricordarci che dalla C noi non ci dobbiamo togliere.
Spiegheremmo loro che qua viviamo di grandi ricordi principalmente con i racconti dei nostri nonni che non ci sono più, perché sono loro gli ultimi che hanno visto la A, che ricordano, tanto per dirne una, il Grande Torino al Moccagatta, quelle partite che, per vederle, dovevi partire la mattina alle 9 sotto la neve con un panino per sperare di riuscire a trovare posto in Gradinata.
A seguire, urleremmo che per noi Alessandria è Emozione, è pelle d’oca, è sentimento, non appena la nominiamo: siamo gente che ama la propria identità e che della propria identità ha fatto uno status symbol, un modo di vita, gente che non ama le etichette, gente che vive dei ricordi delle raminate ondeggianti di parterre e vecchia Gradinata Nord a ogni gol, gente che ha pianto in ogniddove perché qui, in campionato, le partite decisive non si vincono da Alessandria-Biellese del 2007 e dalla fucilata con cui Briano ha spedito a casa l’Olbia dai playoff l’anno successivo. Senza dimenticare l’orgasmo di Tim Cup, ripartito tra Palermo, Genova e soprattutto La Spezia nel 2016.
Signori che avete l’onore di indossare quella meravigliosa camiseta grisa, ascoltateci… Regalateci questo sogno, ne mancano solo 3 alla fine.
Fate sì che questo misto di Ansia, Speranza, Sofferenza, Ricordi e Calore si trasformi nell’urlo liberatorio di gioia di chi ha sconfitto tutto e tutti e di chi ha riportato questa città dove è giusto che stia.

Perchè in fondo ognuno di noi dirà sempre…

CA MEA L’È LISSANDRIA

DUMA ADÓSS FANCIOTT

Patologia Grigia.