Manuela Cibin.
“Pionieri” alla Parrocchia San Giuseppe Artigiano.
Alla periferia della città, in fondo a Corso Acqui, sorgevano dal 1939 delle casermette, dismesse poi al termine della guerra. Fin dal 1947 erano state adibite ad abitazione provvisoria per le famiglie che non avevano un alloggio dove sistemarsi. Si trattava di nuclei familiari di migranti e profughi istriani, giuliani e dalmati. La loro situazione era molto disagiata: all’interno di un unico grande spazio, le famiglie si ritagliavano un po’ di riservatezza appendendo coperte o teli su dei fili, tirati da una parete all’altra. Rumori, odori, voci, pianti, liti e risate erano di tutti, perché nessuno poteva fare a meno di sentirli.
Di lì a qualche anno, abitazioni di edilizia popolare vennero costruite nell’area vicina alle Casermette, la quale prese il nome di Villaggio Profughi.
Già da qualche anno la diocesi mandava un sacerdote a celebrare la Messa festiva nella zona di Cabanette, presso la cascina La Santa, ora diroccata. Mancava però ancora un celebrante nella zona delle Casermette e del Villaggio Profughi. Si provvide nel 1955: dalla parrocchia di San Giovanni Evangelista, all’inizio del quartiere Cristo, Don Ottria e Don Riccardi partivano settimanalmente e si recavano presso l’asilo del Centro Italiano Femminile (CIF) presso le Casermette. Qui, nella sala più grande, non più di 30 metri quadri, i due sacerdoti celebravano la Messa fra molti disagi.
Il 1° giugno 1957 venne canonicamente eretta la Parrocchia di San Giuseppe Artigiano il cui parroco era Don Luigi Riccardi. Il giorno 11 aprile 1959 la stessa fu affidata ufficialmente ai Salesiani e don Bartolomeo Tedeschi, direttore dell’istituto di Via Santa Maria di Castello, ne divenne parroco. La piccola comunità salesiana era formata dal direttore, da don Giovanni Rizzante e da Giacomo della Casa: tre pendolari che non potevano ancora trasferirsi perché mancavano la casa parrocchiale e la chiesa.
I lavori di costruzione proseguirono fra mille difficoltà economiche: enormi le spese, numerosi i furti e continui i danni subiti; la popolazione era però partecipe e desiderosa di vedere concretizzarsi un’opera nel quartiere, che i salesiani desiderarono ribattezzare “Borgo Don Bosco”; con tanto lavoro si arrivò, nel marzo del 1960, a dare inizio alle attività, anche se la chiesa non era ancora pronta.
Una casermetta venne riordinata per l’Oratorio femminile, da affidare alle Figlie di Maria Ausiliatrice; così nel dicembre del 1960 da via Gagliaudo arrivarono Suor Elisabetta Volpiano e Suor Maria Rinaldi, ricordate ancora oggi da molte donne, allora bambine. Per agevolare la presenza delle ragazze alla Messa, le due suore si offrivano di accompagnarle lungo la strada, affinché non fossero sole. In breve tempo gli Oratori, maschile e femminile decollarono.
La gente del rione cominciò a sentire che in quella parte di città stava mettendo le radici: l’aspetto di provvisorietà dato dalle prime abitazioni era contrastato dall’idea di comunità che si andava formando. Ora, a distanza di molti anni vediamo i frutti dei sacrifici di questi autentici pionieri, “fondamenta umane” dell’opera parrocchiale.
Dopo vari ostacoli, spese impreviste e tanti debiti, il 29 luglio 1962 venne inaugurata la chiesa, semplice, essenziale e molto spaziosa. “La Voce Alessandrina” scrisse: “Il sogno del Borgo Don Bosco (Casermette) è finalmente una consolante realtà”. Dopo la Chiesa di persone, ora era pronta anche la chiesa di mattoni.
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