È un revival delle vecchie ferrovie. Di quelle dei tempi in cui i treni “viaggiavano in orario” e di quando i passeggeri, entrando in stazione, si trovavano di fronte a dei ferrovieri e non a delle macchinette obliteratrici. E una volta saliti in carrozza, venivano accolti dal conduttore, impeccabile nel sua divisa nera con sulla giacca, quasi fossero mostrine di un esercito, appuntate le spille con la sigla FS, il quale, bonaccione, chiedeva con voce stentorea: “Biglietti prego” e gli astanti porgevano, con l’orgoglio di chi sa d’essere in regola, quel rettangolino di cartone ricco di timbri della stazione di partenza che egli si affrettava a punzonare sancendo così l’avvenuta verifica.
E da quel momento il passeggero, rasserenato, poteva godersi il suo viaggio, sprofondato o nei velluti della prima classe o afflosciato sulla plastica della seconda oppure incallito sul duro legno, levigato a forma di sedere, della terza.
C’era chi fumava, c’era chi parlava, c’era chi leggeva il giornale, chi guardava il fuori dal finestrino tirando le tendine e c’erano dei giovani che, di carrozza in carrozza, scorrazzavano per tutto il treno per scegliere il posto “buono” di fronte a qualche bella viaggiatrice che magari lasciava intravedere “quel tanto di gambe” da stimolare gli ormoni giovanili sempre in fermento nell’età dello sviluppo (che per noi de l’inchiostro si conclude tra i 100 e i 150 anni), chiedendo, magari nel vuoto di una carrozza, “Scusi quel posto è libero?”. E da lì, una volta “attaccato bottone”, sarebbe poi partita quella conoscenza che spesso si tramutava in un amore del momento.
C’era chi fumava, c’era chi parlava, c’era chi leggeva il giornale, chi guardava il fuori dal finestrino tirando le tendine e c’erano dei giovani che, di carrozza in carrozza, scorrazzavano per tutto il treno per scegliere il posto “buono” di fronte a qualche bella viaggiatrice che magari lasciava intravedere “quel tanto di gambe” da stimolare gli ormoni giovanili sempre in fermento nell’età dello sviluppo (che per noi de l’inchiostro si conclude tra i 100 e i 150 anni), chiedendo, magari nel vuoto di una carrozza, “Scusi quel posto è libero?”. E da lì, una volta “attaccato bottone”, sarebbe poi partita quella conoscenza che spesso si tramutava in un amore del momento.