IL VERO VILLAGGIO BORSALINO

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IL VERO VILLAGGIO BORSALINO

urbanistica all’avanguardia nel 1912
(da la rivista Nuova Alexandria n. 2/2004)

I nostri collaboratori sono importanti non solo perché scrivono per noi, ma anche perché, molte volte ci danno impulsi – forse anche con un pizzico di sadismo – che fanno scatenare la nostra irrefrenabile voglia di indagine, basta che evochino il nome di Alessandria. Così è stato quando Mario Mantelli, in uno dei soliti discorsi che riempono i nostri incontri di atmosfera grigia, ci ha riferito che gli pareva di aver letto su una rivista tecnica, probabilmente degli anni ‘10 del Novecento, un’interessante documentazione sull’urbanistica alessandrina. Non sapeva dire di più, ma il tarlo che, come palla avvelenata, ci aveva passato, ha continuato a roderci e a spingerci verso la risoluzione dell’enigma, panacea della nostra curiosità. Come ultima ratio, dopo svariate ricerche, sfiduciati ci siamo rivolti alla nostra semiaperta Biblioteca Civica e, caso mirabolante più che mai, lì abbiamo trovato la Rivista vagamente segnalata dal nostro amico. La sorpresa non doveva finire qui, e vogliamo che i lettori ne possano anch’essi godere, leggendo quello che qui riportiamo.
Tuttavia, può risultare anche a loro, come per noi, una sorpresa amara il constatare come la sindrome dell’avucàt Truncón abbia ancora inesorabilmente colpito la nostra città.

dal “Monitore Tecnico” (Milano, n. 17 del 20 Giugno 1912)

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Case Popolari per dipendenti della Soc. Borsalino Giuseppe e F.llo.
Fra gli impiegati della Borsalino, antica e rinomata fabbrica di cappelli in Alessandria, si è, da parecchi anni costituita una Associazione con il lodevole fine di studiare ed attuare tutte quelle riforme, nel campo economico-sociale, capace di giovare ai suoi soci. Così l’Associazione, oltre ad aver costituito un Circolo per studi, letture e conversazioni – dove i soci possono apprendere gratuitamente dai loro stessi colleghi, corrispondenti esteri della Ditta, le lingue moderne – fondò pure una cassa mutua per i soci colpiti da malattia o divenuti inabili al lavoro. Come è noto, alla pensione per la vecchiaia degli impiegati ed ai sussidi per gli eredi di chi prematuramente viene a morire, già vi pensa la Ditta stessa, con spirito moderno di sana evoluzione.
Creata poi fra i Soci, un Cooperativa di Consumo ed una Cassa Prestiti, non poteva l’Associazione – allorché fu promulgata la legge sulle case popolari ed economiche – non sentirsi spinta a tentare, per proprio conto, anche in questo campo, la soluzione di un arduo problema, come quello della costruzione e vendita ai soci di case economiche; e perciò con il buon volere che la contraddistingue si pose seriamente allo studio. Un gruppo di 50 soci fra i suoi membri si costituì in Società Cooperativa al fine di usufruire di tutte le agevolazioni che la legge accorda. Ogni casa doveva essere costruita, oltre che in armonia con le esigenze moderne, anche con quelle di ogni socio al quale la proprietà avrebbe dovuto passare. Ma un disegno così geniale e moderno non avrebbe certo potuto avere la sua esecuzione – malgrado i sacrifici finanziari dei soci, alle prese con enormi e pressoché insormontabili difficoltà – se la Ditta Borsalino, e precisamente il comm. Teresio Borsalino, non avesse dato una prova del suo interessamento verso il personale, con la cospicua donazione di £ 75.000. Poté così la Cooperativa procedere all’acquisto dell’area fabbricabile in località prossima allo stabilimento, posta alla periferia, considerata dal nuovo piano regolatore della città e precisamente nella zona già occupata dalle antiche fortificazioni, ora in via di demolizione.
Il terreno acquistato è diviso in quattro appezzamenti i quali, secondo il piano di sistemazione di questo nuovo quartiere, redatto dal geom. A. Ferrero, dell’Ufficio Tecnico Municipale, sono circondati da ampie strade a sistema moderno, è cioè a carreggiata convessa con marciapiedi rialzati. Per due lati il terreno è cinto da via XX Settembre, di 30 mt. di larghezza, con vialone centrale e due ali carreggiabili ai fianchi e dal viale di Circonvallazione che verrà esso pure alberato. Fatto l’acquisto il progetto di edificabilità fu affidato all’ing. Francesco Morone di Milano. Dato il costo relativamente mite del terreno – £ 5 al mq. – il progettista stabilì di adottare il tipo di casa isolata con giardino, come quello che meglio risolve il problema dell’abitazione, sia sotto l’aspetto igienico e morale, sia sotto quello del decoro e comodità di vita. Volendo poi l’Ingegnere praticare una notevole economia, riunì le abitazioni a due a due, pur tenendo ciascuna indipendente dall’altra. Con ciò evitò ogni contatto tra gli inquilini e nella casa e nel giardino, dando ad ogni famiglia ingresso scala e latrine a proprio elusivo uso. Ognuna delle abitazioni comprende il piano terreno ed il primo piano, oltre la cantina, ed è divisa dalla contigua per piano verticale passante pel muro divisorio, piano che si estende poi lungo il divisorio del giardino e solo in alcuni casi viene in questo soppresso, appartenendo le due abitazioni a famiglie di parenti. Stabilito così la tipologia i soci si accoppiarono a due a due secondo le parentele o le affinità personali, essendosi stabilito che le abitazioni gemelle dovessero essere omologhe in tutto, dall’area coperta a quella scoperta. Risolto così il problema alla costruzione di 25 case doppie, occorreva dividere il terreno in altrettanti lotti, dando mandato alla sorte di decidere le scelte per ciascuna coppia di famiglie. In base alla quantità d’area richiesta dai soci si aggrupparono le singole coppie in tre categorie attribuendosi a ognuna di esse degli appezzamenti rispettivi di 400, 500, 600, mq. circa; si lottizzò il terreno in modo che ogni categoria riuscisse egualmente favorita rispetto alle posizioni più ambite, indi si fece l’estrazione a sorte per ciascuna di esse. Così prima ancora di studiare il progetto del fabbricato, ogni coppia già aveva fissato il proprio appezzamento di terreno. Oltre ai 25 lotti, in cui si è suddiviso, se ne fece un 26° per la sede del Circolo degli Impiegati. Nelle abitazioni bifamiliari ognuna è composta in egual numero di locali, tanto al piano terreno che al primo piano. Un piccolo vestibolo all’ingresso disimpegna sufficientemente tutti i locali in modo da poter accedere alle diverse camere del piano terreno, alla scala della cantina ed a quella del primo piano, nonché alla latrina. Ugual ufficio di disimpegno, per i vani del primo piano, presta il relativo pianerottolo. Una disposizione che si distacca da quelle oramai modernamente comuni, è quella seguita in alcune case nelle quali il locale per la ritirata ed il bagno è disposto a metà scala. Pure avanzando qualche riserva e sull’esistenza di una sola ritirata in dette case per entrambi i piani – per quanto adibita alla stessa famiglia – e sulla soluzione stessa, non si può però disconoscere come tale locale così disposto pur non servendo direttamente né ad un piano né all’altro offra però parità di trattamento. Tale vantaggio – se così si può chiamare – è sentito dagli stessi inquilini-proprietari, i quali hanno per verità accolta con favore tale soluzione. Finalmente ogni abitazione è munita del pozzo con pompa aspirante premente, della fossa asettica e di quella per le spazzature. Per la parte decorativa esterna, gli stessi limiti finanziari, nonché la destinazione delle case, imponevano linee semplici, pur non esonerando il progettista dal conseguire quell’effetto d’insieme che valesse ad imprimere il carattere di decorosa sobrietà ed unità a tutto il quartiere che egli andava a costruire. In questi limiti castigati, l’ing. Moroni seppe contenersi, schierando in ordinata compostezza le diverse facciate ed evitando in pari tempo la facile monotonia. La costruzione meno semplice e che doveva – per una certa consentita decorazione maggiormente ricca – distinguersi da tutte le altre egli la riservò per la casa-chalet destinata alla sede del Circolo degli impiegati. Contiene questo fabbricato un ampio salone di ritrovo, una sala di lettura, un’altra pel giuoco del bigliardo, la sede dell’ufficio, il buffet nonché l’abitazione del custode. Un giardino contorna lo chalet e non vi manca neppure, nella parte laterale, il tradizionale battuto pel giuoco delle bocce.
I lavori di costruzione cominciarono nel giugno 1909 e furono ultimati nel giugno nel 1911. Parte delle case furono abitate già fin dall’ottobre 1910 per proseguire fino al 1912. […]
Data la novità dell’esperimento e la sua felice riuscita è giusto chiudere con alcune notizie, le quali, se non strettamente tecniche, si collegano però ad un problema essenzialmente tecnico. Ogni socio venne ammesso all’uso della propria abitazione dietro il versamento corrispondente all’8% del costo consuntivo dell’abitazione scelta. Tale 8% è il risultato complessivo del 4,25% di interesse, del 3,25% di ammortamento e del 0,50% di spese di manutenzione. Dopo ventenni, ultimato il periodo di ammortamento del mutuo, ogni socio diventa proprietario. È fatta facoltà ai soci di procedere ad un ammortamento più rapido, pagando una maggior percentuale: Quando ogni socio sarà divenuto proprietario la società cesserà di esistere oppure si trasformerà in un’associazione per provvedere di comune accordo alle opere di manutenzione generale ed alla tutela dei comuni interessi. Così per iniziativa della Cooperativa fra gli Impiegati della S.A. Borsalino Giuseppe & F.llo, presieduta ammirevolmente dal rag. Osvaldo Cipparoli, e con l’appoggio veramente illuminato del se. Teresio Borsalino, Alessandria ha visto sorgere un nuovo quartiere-giardino che per la buona distribuzione, per l’aspetto estetico e per l’igiene è quanto di meglio si è fatto in Italia ed all’estero nel campo delle abitazioni popolari.

P.S. Questa opera di grande impatto sociale è avvenuta molto prima che alcuni magnati delle Railroad Statunitensi (es. Edward Herriman Kahn e Alexander Turney Stewart , fondatore di Garden City a Long Island) progettassero opere analoghe con minor intenti filantropici.
P.S. 2. Ancora oggi alcune di queste villette sono visibili nelle vie traverse all’Ospedale Patria; lo chalet rimodernato quasi di fronte, era l’edificio che ospitava il Circolo ricreativo.

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Tratto da “I Grafismi Boccassi”