La scuola alessandrina ha dato nel calcio italiano alcuni dei suoi più grandi campioni. Rapidi passaggi rasoterra e di prima fra uomo e uomo, combinazioni lineari, smarcamenti veloci: erano questi gli elementi caratterizzanti di una scuola ammirata da tutti per tecnica ed eleganza. Le sue origini risalgono al giocatore allenatore inglese George Smith che, per la stagione 1913/14, il presidente Giuseppe Brezzi chiamò da Genova a guidare i grigi. Fu lui a dare quell’impostazione che sarebbe stata mantenuta e continuata da personaggi che hanno saputo incarnare la tradizione alessandrina. Basti ricordare per esempio Carlo Carcano o, successivamente, i maghi del vivaio Giuseppe Cornara e Umberto Dadone. Una tradizione che è durata per molti decenni. Dadone, ormai anziano, ricevette il seminatore d’oro per la stagione 1965/66. Il calcio ad Alessandria si praticava già alla fine dell’Ottocento. Addirittura nel 1897 l’alessandrina Unione Pro Sport si aggiudicò a Genova il primo posto nel concorso ginnico – sezione gioco calcio. Era in pratica un’affermazione che per l’epoca equivaleva quasi alla conquista di un titolo italiano. L’Alessandria Foot Ball Club nacque il 18 febbraio 1912 come una diretta emanazione della società di ginnastica Forza e Coraggio di Alfredo Ratti. La maglia inizialmente era biancoceleste. Diventò grigia quando la società ricevette le maglie di questo colore da re del ciclismo, l’industriale alessandrino Maino, per partecipare al campionato di Promozione 1912/13. Già l’anno successivo i grigi erano nella massima serie, in I Divisione.
Nel 1927-28 l’Alessandria andava vicinissima al titolo di campione d’Italia. Si qualificava nel girone finale, arrivando terza, insieme alla Juve, a soli tre punti di distanza dal vincitore, il Torino dell’ex Baloncieri. Sul campo degli Orti dovettero alzare bandiera bianca il Torino, la Juventus, il Genoa, il Milan e il Casale. Fatali due scivoloni sui campi dei cugini nero stellati e del Genoa. Il 1928-29 vedeva l’Alessandria arrivare terza nel girone A insieme alla Roma. L’ultima partita di campionato veniva giocata con i giallorossi e si concludeva con una clamorosa invasione di campo. Era anche l’ultima gara disputata sul campo degli Orti perché dalla stagione successiva i grigi giocavano nel nuovo stadio Littorio, l’attuale Moccagatta. Nel decennio successivo i grigi restarono più a lungo rispetto alle altre squadre del mitico quadrilatero (Alessandria, Novara, Casale, Pro Vercelli) in serie A. Alla fine della stagione 1929-30 l’allenatore Carcano e Giovanni Ferrari andavano alla Juve. I grigi però rimasero in massima divisione fino al 1937, dopo aver sfiorato, nel 1936, la vittoria in Coppa Italia, battuti dal Torino nella finale di Genova.
Con la prima retrocessione in B comunque gli anni del grande calcio non erano affatto finiti per l’Alessandria. Nel 1945-46 infatti i grigi conquistarono la promozione in A. la stagione successiva si caratterizzava per i successi prestigiosi come quelli sul Grande Torino e la Juventus. Nel 1947-48 però si ritornava in B. Arrivava poi nel 1950 la prima caduta in serie C ma dopo pochi anni c’era il riscatto. La svolta giunse con l’arrivo di un nuovo presidente, l’ingegnere Silvio Sacco, ben deciso a riportare i grigi ai massimi livelli. L’Alessandria nella stagione 1955-56 dovette accontentarsi dell’ottava posizione. Nel 1956-57 invece arrivò seconda, insieme al Brescia, a quota 43, dietro al Verona di un solo punto. La promozione venne decisa allo stadio S. Siro di Milano. I tempi regolamentari si chiusero sull’1-1. Al gol alessandrino di Tinazzi aveva replicato Nova. Nel primo tempo supplementare Castaldo segnò la rete che regalò ai grigi l’ultima promozione in serie A della loro storia.
L’anno dopo l’obbiettivo salvezza veniva centrato e i grigi si tolsero anche qualche soddisfazione come quella di togliere ben tre punti alla Fiorentina, poi arrivata seconda alle spalle della Juventus. Nel 1958-59 la partenza fu disastrosa ma alla fine i grigi riuscirono nuovamente a conquistare la salvezza. Nella penultima giornata, il 2 giugno 1959, in occasione della sfida al Moccagatta con l’Inter, esordì un giovane gracilino: il suo nome era Gianni Rivera. Era l’inizio della favolosa carriera dell’ultimo grande campione proveniente dalla leggendaria scuola dei Baloncieri e dei Ferrari. L’anno successivo fu quello della consacrazione per il golden-boy del calcio italiano. Le prestazioni di Rivera però non bastarono a salvare l’Alessandria dalla retrocessione. A fine stagione, Sacco lasciò la presidenza e il giovane campione approdò al Milan. In serie B l’Alessandria ebbe per due anni il capocannoniere del campionato, nel 1960-61 Fanello e la stagione seguente Capello. Nel 1967 si tornava in serie C. Il glorioso orso sarebbe tornato in B nel 1973-74 ma solo per retrocedere l’anno dopo. Gli anni della gloria erano finiti.