I BARCAIOLI E IL TANARO, UN RISPETTO RECIPROCO

Per tanti alessandrini, soprattutto “ortolani”, c’è sempre stato un contatto diretto con il Tanaro, un rapporto di convivenza e rispetto reciproco. Il fiume è sempre stato una fonte importanted’alimentazione. Nell’800 era fonte di sostentamento. Le donne raggiungevano la città e vendevano il pesce che gli uomini avevano appena pescato. Con l’industrializzazione quel legame vitale col fiume si è trasformato. La pesca non è più sinonimo di sostentamento e diventa un passatempo. Ma le vecchie abitudini non si possono abbandonare così facilmente e il Tanaro rappresenta sempre un punto di riferimento importante per gli alessandrini, in modo particolare per i pescatori, per chi conosce davvero quelle acque meglio di chiunque altro. I pescatori che potrei citare sono centinaia. Ed è superfluo sottolineare che tutti hanno vissuto esperienze importanti, momenti che hanno lasciato un segno indelebile nell’anima di chi, tutti i giorni, era a contatto con il fiume. Ricordiamone qualcuno: i fratelli Albertazzi (I Tutòn), i fratelli Lorenzo e Pietro Grassano (Laurensèn e Pidrèn), i fratelli Pasino, i fratelli Rinante, Giuseppe Usalli, Silvio Carnevale, Mario Rossi (el Cavurnòn), Biagio Grassano (Biasòn), Teresio Rapetti, i fratelli Rossi, Guido e Angelo, e poi l’ultimo pescatore professionista Paolo Cellerino (Scaridà). La generazione successiva ha visto “solcare” le acque del Tanaro da Alessandro e Vittorio Grassano (Ciòndra e Toju), dai fratelli Erve e Pierino Bocca, da Ezio Grillo e Carlo Ravera per arrivare ai barcaioli come Ezio Poli, Bruno Culos, Andrea Brusa e Franco Rossi (Tinchёta). L’amore per il fiume non passa mai e questa passione si legge nitidamente negli occhi di chi ha trascorso parte della propria vita su una barca. I ricordi di questi pescatori sono tanti ma ciò che non potranno mai dimenticare è l’allegria con cui andavano in barca per pescare o “arpionare” la legna. Si, perché quando il Tanaro era in piena, per loro era quasi una festa. Era proprio in quel momento che i barcaioli entravano in azione: sul ponte c’era una platea che segnalava, gridando, i rami o i tronchi che la corrente trascinava a valle. Quando arrivavano vicino alla loro postazione in mezzo al fiume, li fermavano con un “uncino” (si ratta di un oggetto di ferro con un rampino all’estremità) e li trascinavano vicino alla riva. “Una volta”, raccontano i pescatori, “una piena aveva abbattuto un ponte di legno che avevano costruito i tedeschi. Non le dico in quanti erano per bloccare quelle tavole di legno”. Eppure si trattava di un lavoro importante quello che i barcaioli svolgevano. Intanto era un modo per ripulire il fiume, inoltre la legna che recuperavano serviva per il riscaldamento delle loro famiglie e molta riuscivano anche a venderla. Esattamente come il pesce che pescavano a quintali. Oggi i barcaioli non pescano più sul Tanaro. Il fiume non è più come allora. Una volta in Tanaro, come nel Bormida, si poteva fare il bagno, i pesci erano addirittura migliori di quelli che si pescavano in mare. Adesso la situazione è cambiata.borsa172 borsa173 borsa174