Assedio di Alessandria

Assedio di Alessandria

L’assedio di Alessandria ebbe inizio nel 1174 nell’ambito delle guerre in Italia di Federico Barbarossa, ostinato a sottomettere i comuni italiani all’autorità imperiale. Il fallito assedio costituì un’importante sconfitta per l’esercito dell’Imperatore, che quindi decise di negoziare la pace con i comuni della Lega Lombarda.

A partire dalla dieta di Roncaglia, l’Imperatore Federico Barbarossa tentò più volte di riportare i comuni dell’Italia settentrionale sotto la sua autorità, spesso mettendoli l’uno contro l’altro. Dopo la distruzione di Milano nel 1162, però, nacque un sentimento di unità contro l’Imperatore, che portò alla nascita di una grande alleanza, la Lega Lombarda.

Uno dei primi atti della Lega fu la fondazione di una nuova città, posizionata sia vicino alle terre del marchese del Monferrato, grande sostenitore dell’Impero, sia sulla strada che Federico Barbarossa percorreva per le sue campagne italiane. La città, inizialmente nota come Civitas Nova, fu offerta in feudo a papa Alessandro III e dunque prese il nome di Alessandria. Il privilegio di creazione di una civitas, tuttavia, era esclusivamente imperiale: il Barbarossa decise di rispondere a questo affronto con una quinta campagna militare in Italia, non solo per sconfiggere la Lega, ma soprattutto per distruggere Alessandria, alla quale lui stesso si riferiva come “castello di Rovereto”.

Risolte alcune questioni tedesche, l’Imperatore diede inizio alla sua quinta campagna militare in Italia nel settembre 1174, attraversando il Moncenisio; si dedicò poi all’assedio e alla distruzione di Susa, che lo aveva umiliato nel 1167. Sulla sua strada ottenne, senza grossi sforzi, le sottomissioni di Torino Asti, preparandosi quindi a prendere Alessandria in piene forze.

L’anonimo Milanese attribuisce al Barbarossa una forza di circa 8000 cavalieri pesanti, ai quali vanno aggiunti scudieri e ausiliari, per un totale di circa 20000 uomini. Tuttavia, gran parte di questi non erano soldati messi in campo dai principi tedeschi, ma mercenari del Brabante. Considerando anche i rinforzi pavesi e monferrini, è possibile stimare una forza di circa 25.000 uomini.

Secondo la biografia di Alessandro III redatta nel Liber Pontificalis dal cronista Bosone, la popolazione di Alessandria poteva contare tra i 10 e i 15000 abitanti, il che implica un numero di uomini dedicati alla difesa compreso tra 2000 e 3000.

L’ASSEDIO

L’esercito imperiale giunse ad Alessandria il 27 ottobre 1174; sembra che gli alessandrini proposero immediatamente la sottomissione, ma Federico Barbarossa rifiutò, considerando la distruzione della città l’unico esito possibile. Considerando che la costruzione della cinta muraria non era conclusa e solamente 150 fanti di Piacenza si erano presentati per rinforzare la guarnigione cittadina, non era un azzardo pensare che la città sarebbe caduta con poca difficoltà.

Per rimediare alla debolezza della cinta muraria, gli alessandrini avevano scavato di fronte a questa un profondo e largo fossato, inondandolo poi con le acque del Tanaro. Ciò creò grosse difficoltà all’esercito nemico, le cui macchine d’assedio si rivelarono inadeguate a superare il fossato; l’Imperatore fu obbligato a prendere Alessandria per fame. A suo svantaggio, però, arrivò un inverno freddo e umido, che, oltre a rinforzare il fossato, trasformò il suo accampamento in una grossa palude. Pavia e il Monferrato non erano in grado di rifornire l’equivalente di una città medio-grande, e anche i saccheggi nelle campagne circostanti si rivelarono assai inefficaci al sostentamento dell’esercito: nei mesi invernali il numero di soldati imperiali diminuì drasticamente, soprattutto considerando che, verso le festività natalizie, le truppe boeme di Ulrico di Olomouc disertarono.

Giunta la primavera, l’esercito della Lega si mise in marcia verso Alessandria per tentare di spezzare l’assedio, e il Barbarossa ordinò a Cristiano di Magonza e al suo contingente, stanziato in Romagna, di tentare di rallentarlo con azioni di disturbo. Lo scarso successo dell’arcivescovo di Magonza, però, costrinse il Barbarossa a tentare il tutto per tutto, nonostante la tregua pasquale: dopo aver ricevuto la notizia che l’esercito comunale era giunto a Broni, l’Imperatore ordinò un attacco sotterraneo alla città, cercando di oltrepassare le mura da sotto; gli alessandrini però, allarmati da San Pietro secondo una leggenda popolare, si accorsero di cosa stava accadendo e respinsero gli invasori facendo crollare la galleria. In risposta, un contingente di fanti e cavalieri si scagliò fuori dalle mura, riuscendo a dare alle fiamme una torre d’assedio.

La sconfitta, per lo più arrivata con il disonore di aver violato una tregua, convinse l’Imperatore alla resa: nella domenica di Pasqua bruciò l’accampamento per andare a trattare la pace con l’esercito comunale.

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Dipinto del 1851 di Carlo Arienti, raffigurante un episodio del 1175, la cacciata dell’imperatore Barbarossa da Alessandria

Conseguenze

L’esercito imperiale e quello della Lega si incontrarono presso Montebello, vicino a Voghera, entrambi molto favorevoli ad una soluzione diplomatica, tanto che il Barbarossa si stabilì a Pavia, congedando gran parte dei costosi mercenari. Tuttavia, fu proprio il destino di Alessandria a far saltare le negoziazioni: l’Imperatore ne esigeva la distruzione, dato che era il principale motivo per cui aveva cominciato la guerra, ma la Lega considerava la nuova città un suo importante membro, e non poteva accettare che la vittoriosa Alessandria venisse trattata come se fosse stata sconfitta. Le trattative saltarono ufficialmente con l’arrivo dell’autunno e l’Imperatore, a corto di uomini e soldi, fu costretto a richiamare i principi tedeschi, ma, giunto a Como, scoprì che ben pochi avevano risposto al suo appello; a disertare fu persino suo cugino Enrico il Leone, considerato uno dei suoi vassalli più fedeli.

L’esercito di Federico, composto da poche migliaia di uomini, affrontò la Lega Lombarda nella celeberrima battaglia di Legnano, e subì una pesante sconfitta; questa volta le trattative di pace si svolsero presso Costanza, e fu ovviamente la Lega a dettare la maggior parte delle condizioni: ai comuni venivano riconosciute concessioni in ambito amministrativo, politico e giudiziario, tra cui la rinuncia alla nomina dei podestà da parte dell’Imperatore. Il Barbarossa, tuttavia, ottenne la distruzione di Alessandria, anche se solamente in modo simbolico: i funzionari imperiali decretarono nullo l’atto di fondazione e, contemporaneamente, istituirono la città di Cesarea (Kaiserstadt), direttamente sottoposta al controllo imperiale.

Nella cultura popolare

Nei secoli successivi all’assedio nacque una famosa leggenda popolare, secondo la quale Gagliaudo Aulari ideò lo stratagemma che convinse Federico Barbarossa a rinunciare all’assedio: passato l’inverno, la città era rimasta praticamente senza cibo e risorse ed era pronta alla resa; tuttavia Gagliaudo, un pastore, diede in pasto tutte le granaglie rimanenti in città alla sua vacca, l’ultima rimanente, per poi portarla a pascolare fuori dalle mura. Catturato e interrogato dai soldati dell’Imperatore, mentì, affermando che la città era stracolma di viveri e, come dimostrazione, fece uccidere l’animale che lo accompagnava. L’Imperatore, alla vista dell’enorme quantità di cibo che era stato dato all’animale, credette a Gagliaudo e si rassegnò, togliendo l’assedio.

Per mancansa d’fen, per mancansa d’paja, a mantenuma er bestii con drà granaia. Ma at dirò, a nom di me fioi, e a pòs propi dili con argoi, che s’un mancheisa anca er gran…. IN CEDERRAN MAI…..I LISANDREN…IN CEDERRAN!!!!

(Questa è la celebre frase che la leggenda riporta a Gagliaudo Aulari e dalla quale gli alessandrini hanno ripreso il celebre motto “In cederran mai…i lisandren…in cederran!!!!”

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La leggenda, insieme ad altre minori, è ripresa da Umberto Eco in Baudolino, nel quale l’assedio e gli eventi che portarono ad esso fanno da sfondo alla prima parte del romanzo. Anche Dario Fo fu ispirato dall’assedio, immaginandosi una città difesa da mura galleggianti e soldati che utilizzavano il fuoco greco per respingere gli assedianti.