1300 – La peste in Alessandria

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Rappresentazione immaginaria della Città con il ponte sul Tanaro, risalente al 1481

Nel 1339 le locuste distrussero ogni forma vegetale, riducendo le risorse alimentari. Il nutrimento scarso e le precarie condizioni igieniche, aggravate dalla decomposizione delle locuste morte, favorirono una manifestazione epidemica che, probabilmente, era una forma tifoide o dissenterica, che causò un’elevata mortalità e decimò la popolazione.
Nel 1345 si manifestò ad Alessandria e nell’Italia settentrionale un’epidemia che colpì soprattutto le donne incinte.
Le cattive condizioni igieniche ed ambientali e l’insufficiente alimentazione, seguita dal deperimento organico che indebolì le difese immunitarie individuali, favorirono nel 1314 l’insorgenza della «peste nera» o «peste vera», che colpì l’Italia settentrionale, ma non si sa con sicurezza se coinvolse anche Alessandria, così come non è certo se dipesero dalla peste le epidemie del 1339, 1345 e 1347.
Sulla peste nera del 1348 (quella descritta dal Boccaccio nel Decamerone), che seminò la morte in tutta Italia, «le cronache alessandrine tacciono e non sappiamo se la città sia stata risparmiata o se il silenzio dipenda da lacune delle fonti».

Intorno al 1400, di fronte al flagello della peste, che allora veniva attribuita a «miasmi pestiferi» contenuti nell’aria, la fuga era ritenuta il rimedio più ragionevole ed efficace. I medici, infatti, sapendo di non poter offrire alcuna garanzia contro questa malattia, consigliavano di «fuggire, presto, lontano e per lungo tempo». I primi ad andarsene erano i ricchi, che sapevano dove sistemarsi, mentre la povera gente non poteva allontanarsi molto né a lungo, non sapendo dove andare né avendo mezzi di sussistenza. Nel 1482 parte della popolazione alessandrina cercò scampo dal contagio nella pianura circostante la città, dove costruì delle capanne di legno o di paglia. Ma di lì a poco i fiumi Tanaro e Bormida strariparono e molte di queste abitazioni furono trascinate via con i loro occupanti.

Essendo nel Medioevo convinzione diffusa che la peste, come qualsiasi altra malattia, fosse un mezzo di espiazione dei peccati, vennero erette anche dagli alessandrini numerose cappelle e chiesette dedicate alla Madonna e ai Santi taumaturghi come san Rocco e san Sebastiano e furono fatte processioni alle quali partecipavano tutti gli abitanti (uomini, donne e bambini) di ogni ceto sociale.
Di qualcuna di queste cappelle e chiesette è rimasto il ricordo; l’unica superstite è quella di san Rocco, costruita alla fine del 1400 e completamente rifatta nel 1788, col titolo di Beata Vergine Assunta.

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(nella foto la Chiesa di San Rocco oggi, tratta dal sito cittaecattedrali)


In questo periodo, seguendo l’esempio di altre città, si costituirono anche in Alessandria delle Confraternite religiose con lo scopo di prestare assistenza agli appestati. Una di queste, denominata Confraternita dei disciplinati e risalente alla prima metà del 1400, aveva sede in un edificio annesso alla chiesa di san Sebastiano, situata in fondo all’attuale via Vochieri, angolo via Dossena. Una Confraternità di san Sebastiano si insediò anche a Bergoglio nel 1458 e rimase attiva fino a quando il quartiere non fu distrutto per far posto alla Cittadella (1728). Nel 1490 si trasferì ad Alessandria un Ordine di monaci, denominati Gesuati, per prestare assistenza ai malati di peste.